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al testo di Gil
Che strane case hanno i morti
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Che strane case hanno i morti. Sono porti deserti senza più mari, filari di nomi e di date a dire chi è stato e nell'ora di adesso è passato a memoria. Ogni storia ha qualcosa di uguale, eppure vale il frammento diverso. Confesso rimango appartato in questo consesso di appelli silenti. Viventi lo siamo ed è sempre poco, tra il riso del dramma ed il pianto del gioco.
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Ferdinando Giordano
- 22/04/2019 19:53:00
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Quando la tua lingua prende possesso del corpo, e si manifesta in questo modo, è possible vedere quanto dalle dita limpronta lirica, che resta al lettore, testimoni la crescita continua e sicura. Sempre grazie, per altro.
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Gil
- 22/04/2019 09:24:00
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Cristina, Laura, Salvatore, Alberto: ad ognuno di Voi, la mia intima gratitudine.
Grazie
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Alberto Becca
- 21/04/2019 14:56:00
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Su quelle case, su quei muri-lapidi, in quelle frasi di memoria si trova e si legge il confine fra "finito" e "infinito", fra "ora" e "allora", fra la miseria terrena della vita e la ricchezza sacrale delleternità
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Laura Turra
- 21/04/2019 07:07:00
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Gil, chi mi preceduto nei commenti ha già detto mirabilmente tutto. Aggiungo solo un piccolo pensiero mio. Ci sono il silenzio e i suoni del ricordo che si muovono nell’ombra. C’è come un sentiero disegnato dalle parole, che ci porta in quello stare “appartati” davanti al mistero della morte. Sì entra in quella quiete che non trattiene nulla, che prende tutto. Una riflessione profonda e preziosa. Buona Pasqua, Gil, ti abbraccio!
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Salvatore Pizzo
- 21/04/2019 02:51:00
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Stranezze che, penso, riguardino più i vivi che i morti: di essi è solo in noi che rimane qualche traccia di una certa specificità. In natura le ossa sono solo ossa. Deliziosi e preziosi questi tuoi versi, così intessuti di rime ed assonanze che ne fanno poesia di grande respiro e riflessione. Un saluto
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cristina bizzarri
- 19/04/2019 17:03:00
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Come non condividere questa tua riflessione Gil, quando ci soffermiamo a riflettere sulla pochezza quasi risibile della vita di fronte allimmenso mistero della morte che della vita è compimento e dalla vita uscita. Eppure comè immenso anche il vivere, limmaginare, il ricordare. Luna non è senza laltra e io credo, come è detto in un frammento di Eraclito (che conosco tramite Emanuele Severino): “Attendono gli uomini, quando sian morti, cose che essi non sperano né suppongono” (Eraclito, fr. 27). Non è forse quello che Gesù e i grandi Maestri tentano di indicarci, e noi riduciamo spesso a brandelli intessuti di riti e, spesso, di superstizioni quando facciamo di Dio un sadico sacrificatore anziché flusso continuo di amore?
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